Pochi giorni fa mi è capitato un fatto che mi ha molto interrogato. Vengo contattato dalla mamma di un mio allievo, preoccupata per l’impassibilità del ragazzo davanti ad una grave insufficienza in Latino, materia per lui ostica, di scarso valore nella vita di tutti i giorni, per la quale non si intravede lo scopo di studio. Vedo la donna concentrata sul cinismo del figlio verso la materia scolastica. Allora le espongo la mia preoccupazione che non riguarda il voto in sé. Il ragazzo pochi giorni prima, commentando la gita scolastica in una bella città, mi aveva stupito in quanto giudicava l’esperienza inutile.
L’etica dell’utile ha ormai coinvolto tutti gli ambienti e tutti gli atteggiamenti creando uno scetticismo di fondo, un’incapacità a vivere bene e pienamente le esperienze. La madre, sola nel grande compito dell’educazione dei figli, non aveva mai pensato e prestato attenzione a questo fatto. Nel contempo, ora si sentiva in colpa e responsabile, perché lei spesso a cena aveva parlato della vita in maniera disillusa.
Ritengo quest’episodio molto significativo. In primis ci dice che spesso noi genitori siamo interessati più all’andamento scolastico dei nostri figli che alla loro vita e al loro vero bene. Riduciamo le nostre domande alla fatidica richiesta: «Come è andata la scuola?». Il ragazzo non può che trincerarsi dietro una risposta monosillabica che chiude ogni comunicazione. Se a mia figlia, che ha sei anni, io chiedo se abbia imparato qualcosa di interessante e di bello, lei è più propensa a parlare. A tavola, a cena, ognuno di noi racconta che cosa sia capitato di interessante durante la giornata. Mi sembra un modo per spalancarsi di fronte all’avventura della vita alla ricerca di ciò che ci capita e che renda bella e interessante la vita stessa.