Un grande amico di Manzoni, Ermes Visconti, scrive che dietro alla conversione dell’Innominato è raccontata quella del Manzoni.
In mezzo alla crisi che vive l’Innominato giunge al castello dell’Innominato quella Lucia che il collega di ribalderie Egidio, l’amante della Monaca di Monza, ha facilmente fatto rapire. Quella ragazza debole e apparentemente senz’armi appare all’Innominato non certo indifesa. La fede non l’abbandona in questo momento difficile. Di fronte al suo carceriere esclama: «In nome di Dio…», ponendo così un dito nella piaga dell’Innominato che risponde: «Dio, Dio, … sempre Dio: coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola. Di farmi…?».
Allora Lucia pronuncia quella frase che salverà l’Innominato: «Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia!». Anche una semplice frase, un istante possono servire per la nostra salvezza o la salvezza altrui: è il concetto di merito cristiano, per cui non c’è istante che, se offerto a Dio, non possa valere per la salvezza di sé e del mondo. Qui, sarà ben presto evidente che poche parole pronunciate con fede e per fede si stamperanno nella mente sconvolta del ribaldo e nella notte che sta per sopraggiungere lo tratterranno da un folle gesto.
Vedremo cosa accadrà.