È bello sentire qualcuno che racconti una storia, la propria storia, perché vuol dire che c’è una vita. Ancor più bello è quando la storia che ti viene raccontata è piena di speranza, una testimonianza di gratitudine nei confronti di chi ti è stato e continua ad esserti maestro. Allora si capisce che è sempre indispensabile tornare alle origini della propria storia. Comprendi che solo nella consapevolezza delle tue origini, nella gratitudine per chi ti è padre nasce la fecondità. Sant’Agostino commenta la frase del Vangelo «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» dicendo che chi ha coscienza del debito di gratitudine verso chi ci è padre e ci ha donato tutto sarà fecondo e otterrà ancora di più, chi, invece, non conosce la propria origine e verso chi è debitore perderà tutto e non darà alcun frutto.
Queste riflessioni sono scaturite in me, qualche settimana fa, alla cerimonia di consegna del riconoscimento del Premio Cultura Cattolica, XXXI edizione, quando il premiato mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara – Comacchio e Abate di Pomposa, ha risposto alle domande personali rivoltegli dal giornalista Andrea Tornielli. Allora è andato alle origini della sua crescita, del suo modo di concepire la vita e i rapporti con le persone: l’incontro con Cristo, avvenuto prima in famiglia e poi, di nuovo, nella figura di Don Luigi Giussani. Quando era piccolo, il padre gli diceva: «Vado a lavorare per collaborare alla gloria di Cristo nel mondo». Per suo padre la fede era pertinente alla vita, riguardava anche il duro lavoro e la fatica. La vita in quelle case dei quartieri poveri di Milano negli anni Quaranta del Novecento era una vita povera di mezzi materiali, ma ricca di dignità. La dignità della vita risiede, infatti, nella cultura, ovvero nella concezione che si ha della vita.
Negri ha, poi, incontrato Don Giussani sui banchi di scuola del Liceo Berchet di Milano e l’ha seguito fin dalle prime ore di Religione dedicate al senso religioso, a Cristo e alla Chiesa. L’inizio di tutto fu lì, al Berchet, nell’invito costante ad approfondire il proprio bisogno di uomo, la propria natura. Infatti, solo in una vera esperienza umana si può capire che Cristo è una corrispondenza perfetta alla domanda del cuore della persona. «Voi cristiani dove siete?» chiese don Giussani ai ragazzi del Berchet. Qualcuno colse questa provocazione come una chiamata in cui l’incontro con Cristo avrebbe compreso in sé ogni ambito della vita, dallo studio alla cultura, dai rapporti di amicizia alla politica. Nella vita di mons. Negri la grazia è passata attraverso le circostanze dell’esistenza, attraverso gli incontri che ha avuto. Mons. Negri ricorda che era molto sedentario e passava molto tempo in casa a leggere. Dopo l’incontro con don Luigi Giussani è nata per lui una possibilità di vita nuova. Mons. Negri ricorda che stava studiando Matematica quando ha pensato che avrebbe potuto dedicarsi totalmente a Dio. Lo raccontò a don Giussani che gli consigliò di custodire nel cuore quell’intuizione. All’Università, poi, Negri iniziò ad essere missionario, ad aiutare i ragazzi universitari che avevano bisogno e maturò la decisione del sacerdozio.