Giovannino Guareschi (1908-1968) è tra i grandi del Novecento che «al genio artistico personale hanno coniugato un profondo radicamento nella loro terra, in un tessuto connettivo sociale cristiano», come Eugenio Corti e Giovanni Papini (Paolo Gulisano). L’avventura di Guareschi come scrittore nasce all’interno del mondo della cronaca come lui stesso sottolinea: «Io da giovane facevo il cronista in un giornale e andavo in giro tutto il giorno in bicicletta per trovare dei fatti da raccontare. Poi conobbi una ragazza, e allora passavo le giornate pensando a come si sarebbe comportata quella ragazza se io fossi diventato imperatore del Messico o se fossi morto. E, alla sera, riempivo la mia pagina inventando fatti di cronaca, e questi fatti piacevano parecchio alla gente perché erano molto più verosimili di quelli veri».  Sono parole che richiamano, fatti i debiti distinguo, quelle che un grande della letteratura come Pirandello antepone come postfazione all’edizione del 1921 de Il fu Mattia Pascal intitolando il capitoletto «Avvertenza sugli scrupoli della fantasia». Anche lo scrittore siciliano afferma che la letteratura è spesso più verosimile della realtà e la realtà è, talvolta, più inverosimile della letteratura. Il paragone tra Pirandello e Guareschi non si riduce alla loro inesauribile fantasia.
Se il primo è convinto che la vita sia un flusso continuo che l’uomo cerca invano di fissare in una forma che si possa capire e analizzare (perché il mistero della vita e dell’uomo è irriducibile e insondabile), il secondo dal flusso continuo del Po raccoglie storie che sono già accadute o che prima o poi accadranno. Entrambi, comunque, adottano la modalità dell’umorismo che abbraccia, accoglie, sa comprendere il limite e l’errore proprio e altrui. Sull’umorismo di Guareschi ha ben scritto Walter Muto nell’ottimo libro Guareschi. L’umorismo e la speranza (Marietti).