«Ma io dichiaro – strillò Stepàn Trofimovic, al massimo grado del furore – ma io dichiaro che Shakespeare e Raffaello stanno più in alto della liberazione dei contadini, più in alto dello spirito popolare, più in alto del socialismo, più in alto della giovane generazione, più in alto della chimica, quasi più in alto dell’umanità intera, giacché sono già un frutto, il vero frutto dell’umanità intera e, forse, il frutto più alto che mai possa essere! […]. Ma sapete, sapete voi che senza l’inglese l’umanità può ancora vivere, può vivere senza la Germania, può vivere anche troppo facilmente senza i russi, può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non si potrebbe vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo? Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui! La scienza stessa non sussisterebbe».
Così, un personaggio de I demoni di Dostoevskij riconosce l’indissolubile nesso tra uomo e bellezza, l’urgenza profonda, presente nell’intimo del nostro cuore, di trovare una bellezza cui aderire. Nel contempo, attribuisce alla bellezza stessa il merito di essere l’esito più alto che noi possiamo concepire. Ecco perché il più grande delitto che si potrebbe compiere sarebbe eliminare «Shakespeare e Raffaello», ovvero toglierci una tensione ideale e, nel contempo, modelli di persone pienamente realizzate. Per questo non c’è nulla di così utile all’umanità quanto la bellezza, affermazione che può sembrare paradossale in quanto il bello è di per sé disinteressato.