L’uomo primitivo, a contatto con la natura, è buono ed è la civiltà a corromperlo. Questo pensava Jean Jacques Rousseau e così credeva anche Giacomo Leopardi, nella sua prima fase di “pessimismo storico”. Poi maturò e la rinnegò.


La tentazione di attribuire la causa dell’infelicità umana alle condizioni contingenti e storiche in cui si è costretti a vivere, al progresso, all’incivilimento è una delle tentazioni maggiori per l’uomo. Attraversa, infatti, tutta la storia del pensiero  e della cultura da tempi immemori. Un tempo l’uomo, vivendo a contatto con la natura, non corrotto e non inquinato dagli elementi artificiosi del progresso e della civiltà, sapeva vivere; oggi non più. Una simile analisi, che individua chiaramente le cause del problema, fornisce indubbiamente una soluzione categorica e indefettibile, quella di rimuovere le ragioni che ci hanno allontanato dallo stato incorrotto e primigenio originario ritornando ad un rapporto diretto e spontaneo con la natura, sorgente della nostra realizzazione, «madre benevola»,  quasi idolatrata e, quindi, Natura. Secondo tale linea di pensiero l’uomo allo stato di natura è buono. Si noti bene «buono»: non si pone tanto la questione della felicità, ma della bontà. Si rimanda ad una autosufficienza dell’uomo, ad una autonomia di un essere che basta a se stesso: se siamo buoni per natura, che bisogno c’è di qualcuno che ci redima, che ci salvi, che redima il nostro male? L’uomo egocentrico, autonomo, sostituisce il proprio cuore con il proprio progetto, con la propria ideologia, con il proprio pensiero di essere buono ed evade così la domanda di felicità. Alla situazione reale viene sostituito uno schema del pensiero, un’ideologia. Non occorre più essere felice.

All’epoca di Leopardi questa linea di pensiero trova la sua espressione migliore nel mito del buon selvaggio di J. J. Rousseau, che viene corroborato dalle relazioni confezionate ad arte dagli esploratori sulle popolazioni incontrate a Tahiti nella seconda metà del Settecento. I ricercatori sulle nuove popolazioni non raccontarono quello che effettivamente videro (tendenza a guerreggiare, …), ma, istruiti alla perfezione dalla madrepatria, costruirono l’immagine di popoli che non conoscevano ancora il male, l’egoismo, lo sfruttamento, la corruzione dell’Europa.  Del resto, più di due secoli prima lo stesso Bartolomé De las Casas aveva contribuito a creare il mito del buon primitivo e, nel contempo,  la leyenda nera sulla conquista spagnola, che una più imparziale ricerca storica già da tempo ha aiutato a sfatare. Non è, certo, questo lo spazio per approfondire la genesi e le ragioni di determinate posizioni che trascurano che una ferita è presente nell’animo dell’uomo fin dalla nascita, anche nei popoli che non hanno conosciuto la nostra civiltà: in termini cristiani questa ferita viene denominata peccato originale.