HANNO TUTTI BISOGNO DI UN MAESTRO E DI UNA COMPAGNIA UMANA PER RISCOPRIRE CHE L’ALBA NON E’ UNA COSA OVVIA.

SERVE PERO’ UNA DOMANDA DESTA E UNO SGUARDO ATTENTO. ALLORA LA REALTA’ CI SORPRENDERA’, PERCHE’ CRISTO E’ LI’ CHE ASPETTA CHE GLI APRIAMO UN VARCO.

Che cosa cercano i giovani al sabato sera, quando passano da un locale all’altro, quando si «sballano» tra l’alcool, la droga e una musica assordante? Forse loro non saprebbero rispondere in maniera precisa, forse non saprebbero rispondere a questa domanda neanche quegli adulti che li giudicano, li criticano, li censurano senza chiedersi che cosa stia al fondo di quel comportamento.

«Quid animo satis?», cioè «che cosa può bastare all’animo umano?».Il cuore dell’uomo è nato per la felicità, piena ed infinita, non ridotta a formule. Ecco perché, non appena qualcuno ha il coraggio di rimetterla a tema, l’attenzione di molti o forse dei giovani o di chi si sente ancora giovane sobbalza e rimane in ascolto, forse cercando la formula o la regola d’oro.

Dobbiamo avere il coraggio di guardare in fondo al nostro animo e provare a chiederci: «Che cosa può bastare al nostro animo?». Chiediamocelo ogni giorno e guardiamo all’altro come una persona che chiede e domanda felicità, anche quando non ne è pienamente cosciente. Anche quei giovani che spesso si sballano sono questa domanda insopprimibile.

Si può sostenere la speranza di felicità propria ed altrui solo quando nella vita si è incontrato qualcosa che è in grado di ridestare la domanda perché si è palesato come risposta. Per questo è un segno allarmante dei nostri tempi il fatto che gli adulti abbiano spesso paura delle domande di pienezza e dei sogni dei giovani.

Per questo è, però, motivo di grande speranza l’incontro con uomini che siano lieti. Abbiamo bisogno di uomini assetati di felicità. Abbiamo bisogno di incontrare uomini felici.

Il desiderio. Questa è la chiave perché si possa affrontare il lavoro, la scuola, lo studio universitario, le amicizie, il rapporto con il fidanzato o con la fidanzata animati da quello stesso entusiasmo e da quella trepidazione che provavamo il primo giorno.

Altrimenti, come non farsi prendere dalla monotonia, dal cinismo, dal sentimento comune che tanto non cambierà mai nulla? Come si può costruire qualcosa di grande e di bello, come far sì che questa giornata, questo mese, quest’anno scolastico o lavorativo siano un’occasione di costruzione di umanità, di incontri di umanità? Antoine de Saint Exupery scrive nella Cittadella: «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini.

Ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». E Chesterton ci ricorda: «La vita è la più grande delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre». Come è provocatoria questa frase in un panorama in cui l’abitudine principale è quella di lamentarsi, di vivere il lavoro e la scuola come carceri, luoghi tetri e pesanti da cui evadere o in cui stare solo se si guadagna adeguatamente o si può far carriera.

La più grande delle avventure non è il viaggio nella solitudine dell’Alaska come nel film «Into the wild», ma la vita che ora, in questo preciso istante, è data a me e a te da vivere. Come può accadere ciò? Perché la vita sia un’avventura, bisogna recuperare la dimensione della scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna me e il mio collega, anche quello che non mi sta poi così simpatico, il ragazzo che si presenta per il primo giorno di scuola delle superiori  come l’insegnante che sta per andare in pensione.

In questa scoperta del cuore che accomuna me all’altro che incontro, quel cuore che ci rende creati «a immagine e somiglianza» di Dio, sta la possibilità di uno sguardo misericordioso che valorizza il punto luminoso dell’altro (anche in mezzo a tanti limiti), perché spia del mistero che l’altro ha dentro.

Un’adolescente mi ha confidato qualche mese fa, dopo aver tentato il suicidio, che l’amore vero non esiste, che siamo solo materia e che non vivremo per l’eternità. La cultura massmediatica contemporanea veicola in tutti i modi il messaggio che non esiste una verità, non c’è un amore vero o un ideale per cui valga la pena vivere.

Sembra oggi essersi avverata la profezia di Teilhard de Chardin: «Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame né la peste, è invece quella malattia spirituale, la più terribile perché il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di vivere». La crisi attuale è forse la più grave che abbia vissuto il mondo occidentale, perché l’uomo assiste, dopo aver già visto la perdita di fede nell’aldilà, alla perdita di fede nell’al di qua.

In mezzo alla scomparsa dei grandi ideali, trionfa una gaia disperazione. Sentiamo come Pasolini in un articolo di giornale, che sarebbe stato poi raccolto in Scritti corsari,descrive il centralismo odierno del potere che mira a soffocare l’umano e ogni forma di desiderio autentico: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. […] Oggi […] l’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica, voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana […]. Il Centro […] ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza».

Come fare allora? Da dove ripartire? Ho passato parte del pomeriggio con quella ragazza, raccontandole la mia esperienza e richiamando lei a cosa desiderasse. Le ho chiesto: «Ma tu desideri un’amicizia vera, un amore vero, un’esperienza bella?». Mi ha risposto con sicurezza: «Certo».

Dopo la chiacchierata l’ho invitata a studiare con altri compagne e a partecipare alla festa che la sera avremmo fatto a scuola. Questo è il punto da cui ripartire. Il nostro desiderio che si deve tradurre in domanda di incontrare luoghi di umanità diversa, più affascinante e più viva, luoghi in cui il nostro io si riscopre e rinasce.

Se la nostra domanda è desta, se il nostro cuore è sgombro da incrostazioni, se il nostro sguardo è attento, allora ecco che la realtà ci sorprenderà, perché Lui (Gesù Cristo) c’è e attende solo un varco per entrare ed essere accolto nel nostro cuore.

Bambino, ragazzo, adulto stanno tutti sulla stessa barca. E hanno tutti bisogno di un maestro e di una compagnia umana per riscoprire che «l’alba non è una cosa ovvia». L’affettività può sanare la frattura tra una volontà fragile e malata e una ragione che, se utilizzata senza incrostazioni, sa discernere il bene dal male.

Per questo una compagnia umana e un’amicizia sono strumenti imprescindibili per mantenere desta la domanda, per ricercare e per operare. Non fidiamoci dal fatto che la cultura e la società di oggi ci dicano che essere adulti significhi essere autonomi e fare da soli. Non fidatevi, ragazzi, dell’istinto che avete ora di fare da soli perché vi sentite grandi. Cammina davvero e apprezza il cammino compiuto solo chi ha un maestro e una compagnia, ragazzo o adulto che sia.

La bellezza che si incontra nella vita deve essere condivisa con gli altri: non è un imperativo morale astratto, ma una necessità innata del nostro cuore. Dobbiamo farne esperienza direttamente, come quando ci troviamo in un luogo bellissimo o ci accade qualcosa di straordinario e sentiamo l’urgenza di comunicarlo alle persone che ci sono più vicine e amiche. (pubblicato su «La voce dei giovani», novembre 2012)