È una delle tentazioni maggiori per l’uomo. Attraversa, infatti, tutta la storia del pensiero e della cultura da tempi immemori: è la tentazione di attribuire la causa dell’infelicità umana alle condizioni contingenti e storiche in cui si è costretti a vivere, al progresso, all’incivilimento.
Un tempo l’uomo, vivendo a contatto con la natura, non corrotto e non inquinato dagli elementi artificiosi del progresso e della civiltà, sapeva vivere; oggi non più. Una simile analisi, che individua chiaramente le cause del problema, fornisce indubbiamente una soluzione categorica e indefettibile, quella di rimuovere le ragioni che ci hanno allontanato dallo stato incorrotto e primigenio originario ritornando ad un rapporto diretto e spontaneo con la natura, sorgente della nostra realizzazione, “madre benevola”, quasi idolatrata e, quindi, Natura.
Secondo tale linea di pensiero l’uomo allo stato di natura è buono. Si noti bene “buono”: non si pone tanto la questione della felicità, ma della bontà. Si rimanda ad una autosufficienza dell’uomo, ad una autonomia di un essere che basta a se stesso: se siamo buoni per natura, che bisogno c’è di qualcuno che ci redima, che ci salvi, che redima il nostro male.