La tesi espressa dallo storico svizzero J. Burckhardt (1818-1897) sulla netta cesura tra la civiltà medioevale e quella rinascimentale è stata ormai superata da tempo da una più imparziale rilettura del Medioevo che ha permesso di interpretare l’esplosione artistica del Quattrocento e del Cinquecento come conseguenza, almeno in parte, di alcune premesse culturali dei secoli precedenti. Certamente, però, esistono alcune differenze fondamentali tra i due periodi a livello di concezione dell’uomo e della vita.

Forse è l’umanista Coluccio Salutati (1331-1406) a descrivere meglio in un’espressione sintetica una delle più grandi novità del Rinascimento rispetto al Medioevo, ovvero una mutata percezione religiosa, in un certo senso in parte eterodossa, dettata dalla convinzione che i meriti umani possano portare l’uomo alla salvezza. Sua è, infatti, l’espressione: «Del Paradiso è degno l’uomo che ha compiuto grandi azioni in questa terra». L’intellettuale di inizio Quattrocento ha sostituito al merito cristiano l’idea di merito umanistico e ha maturato la convinzione che l’uomo possa con le proprie opere ottenere l’immortalità, la fama su questa Terra e l’eternità poi. L’ottimismo sulla natura umana che caratterizza almeno la prima parte del Quattrocento si può esprimere con l’affermazione classica che è fatta risalire ad Appio Claudio Cieco: «Faber est suae quisque fortunae» ovvero «Ciascuno è artefice del proprio destino».