RADIO MARIA. Giovedì 28-4-2022 ore 10:30

I PROMESI SPOSI E IL SUGO DELLA STORIA.

Chi era davvero la monaca di Monza?

LA SVENTURATA NON RISPOSE E MORÌ IN ODORE DI SANTITÀ

 Per ricostruire la realtà storica della monaca di Monza è indispensabile leggere gli atti del processo, resi accessibili a tutti solo dopo la loro pubblicazione nel 1985, autorizzata dall’arcivescovo Carlo Maria Martini in occasione del secondo centenario della nascita del Manzoni. Il testo originale del processo si trova nell’archivio della Curia Arcivescovile di Milano.

Pochi lo lessero nei secoli precedenti: nel Seicento Ripamonti, nell’Ottocento Dandolo e Manzoni e nel Novecento Mazzucchelli, che, trascrivendolo anche se non del tutto fedelmente, ottenne un grande successo di vendite.

Tra l’altro Manzoni poté consultare gli atti solo tra il 1835 e il 1840, quando la storia della monaca aveva già preso forma definitiva con la prima edizione dei Promessi sposi (1827). Di certo lo scrittore non li consultò integralmente e dovette in gran parte avvalersi delle Historiae patriae di Giuseppe Ripamonti, pubblicate tra il 1641 e il 1643. Nel romanzo non solo non compare il nome della monaca, che era a Manzoni sconosciuto, ma neppure quello del casato. Per quale motivo lo scrittore operò questa omissione? Forse per non ledere il nome della casata della monaca? Non crediamo che le ragioni possano essere queste. Nell’Ottocento la famiglia nobiliare in questione era in grave declino. L’ipotesi più attendibile è che Manzoni volesse rispettare il lavoro e l’opinione dell’arcivescovo Federigo Borromeo che intrattenne un lungo rapporto epistolare con la monaca e che era profondamente convinto del cambiamento di quella donna che condusse dopo il processo una vita di stenti e di penitenza.

La lettura degli atti riserva non poche sorprese.