SABATO ORE 10:00. RADIO 5.9
IO CERCO LA FELICITA’. PERCORSO DI VITA ATTRAVERSO I GRANDI AUTORI
L’immaginazione umana è uno dei rimedi più forti, anche se completamente illusorio, al problema della felicità. Scrive, infatti, Leopardi: «Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere […]. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni, ecc. Perciò non è maraviglia: 1. che la speranza sia sempre maggior del bene; 2. che la felicità umana non possa consistere se non nella immaginazione e nelle illusioni». La natura ha, quindi, dotato l’uomo della facoltà immaginativa che opera come una seconda vista capace di veder quello che non c’è, di intravedere quanto lo sguardo naturale e sensitivo non coglie. L’immaginazione opera laddove un bene appaia lontano, sfuggente, oppure venga percepito solo in parte con i sensi della vista, dell’udito. Laddove un oggetto, una persona, una musica siano vaghi e indefiniti, noi percepiamo un’impressione di piacevolezza perché la nostra facoltà immaginativa può creare nella mente quello che non vede e può pensare a quell’infinito piacere che nella realtà non vede. Ecco perché tendiamo a idealizzare donne viste per poco tempo o con cui non abbiamo la possibilità di stare a lungo o che ci risultano fuggevoli. La nostra immaginazione tende a idealizzare e a percepire più affascinante quanto è sfuggente e non è concretamente presente.
Nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare il protagonista, isolato nell’ospedale di Sant’Anna, vede ogni tanto uno «spirito buono amico» e tiene con lui «molti e lunghi ragionamenti». Confida a questo «genio familiare» il suo desiderio di vedere la sua donna, Eleonora: «Ogni volta che ella mi torna alla mente, mi nasce un brivido di gioia, […]. Talora, pensando a lei, mi si ravvivano nell’animo certe immagini e certi affetti, tali che, per quel poco tempo, mi pare di essere ancora quello stesso Torquato che fui prima di aver fatto esperienza delle sciagure e degli uomini, […]. Io mi maraviglio come il pensiero di una donna abbia tanta forza, da rinnovarmi, per così dire, l’anima, e farmi dimenticare tante calamità. E se non fosse che io non ho più speranza di rivederla, crederei non avere ancora perduta la facoltà di essere felice». Il Genio allora chiede a Torquato se sia più dolce vedere la donna amata o pensare a lei. Pur non conoscendo la risposta, il poeta replica che quando lei è presente sembra una donna, quando è lontana appare una dea. La facoltà immaginativa idealizza quanto è sfuggente, non percepibile in tutti i suoi contorni, quanto risulta etereo, vago e indefinito.