Attribuito dalla tradizione a Iacopone da Todi (1230-1306) e musicato da artisti come Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) e Antonin Dvorak (1841-1904), lo Stabat mater rappresenta la Vergine Maria in tutta la sua umanità, in tutto il suo dramma di madre sofferente ai piedi della croce, «afflitta e addolorata» per «le pene del suo figlio ripiegato». Madre e figlio sono i due termini su cui il testo insiste continuamente, sono le due espressioni che attestano anche il rapporto di Maria con noi. Chi di noi non soffrirebbe, si chiede Iacopone, vedendo la madre di Cristo, ma anche madre nostra, soffrire in maniera così atroce. L’uomo può solo chiedere alla Madonna che gli venga permesso di piangere con Lei, può solo gridare con tutto il cuore. Iacopone Le si rivolge allora così: «Permetti che il mio cuore si infiammi/ nell’amore per Cristo Dio,/ per piacere a lui!/ Santa Madre, fa’ in modo che/ le piaghe del crocifisso siano impresse/ profondamente nel mio cuore».

Lo scrittore chiede di poter condividere, compatire la pena per la crocefissione di Cristo, finché sarà in vita. Il centro, il motivo assiologico dell’intera lauda, sta tutto  in quel «Fac ut ardeam cor meum», cioè «fa’ in modo che il mio cuore si infiammi tutto nell’ardore di Cristo Dio». L’amore o si offre in forma totale, integrale, o non è vero amore. L’amore, dono commosso di sé agli altri, ci fa desiderare di aiutare Maria a portare la sua croce, di compatire con Lei, lì ai piedi della croce. Allo stesso modo, desideriamo un giorno gioire con Lei anche nel Paradiso: «Quando il corpo morirà/fa’ in modo che all’anima/sia donata/la gloria del Paradiso». Come il Buon ladrone in presenza di Cristo, anche Iacopone alla presenza della Madonna chiede il Regno di Dio.